Gig economy si riferisce a una parte del mercato del lavoro, in cui piccoli lavori vengono incaricati con breve preavviso o a volte anche senza anticipazione a privati o liberi professionisti, che lavorano indipendentemente. Spesso una piattaforma online funge da mediatore tra chi offre un lavoro e chi lo cerca, stabilisce le condizioni, detta le regole e prende pure una provvigione.
Chi e musicista conosce questo gergo, un gig (inglese colloquiale per performance) è un ingaggio (engagement) pagato per un’apparizione sul palco. Come un musicista si porta avanti da un gig al prossimo, oggi vengono mediati sempre di più anche i lavori artigiani e domestici oppure le prestazioni degli insegnanti e di creativi come copywriter, designer, web developer e traduttori. La gig economy domina una parte del mercato di lavoro che si diffonde rapidamente.
La gig economy è caratterizzata da un minor grado di legame e responsabilità nei confronti del prestatore del servizio rispetto al rapporto di lavoro tradizionale. Gli operatori delle piattaforme come Uber, Airbnb, Etsy, Deliveroo o Foodora si vedono più come mediatori e meno come datori di lavoro. Secondo il settore e la situazione giuridica nazionale vengono offerti mini-lavori e i fornitori di servizi lavorano in proprio senza il diritto a giorni di ferie o essere pagati in caso di malattia. Dovranno, quindi, anche assumere la previdenza sociale e altre assicurazioni e, di conseguenza non esiste nessuna sicurezza sociale e neanche il diritto di partecipazione alle decisioni.
I settori interessati dalla gig economy includono anche la consegna dei pacchi e servizi postali. Amazon, per esempio, sta cercando di trasferire gli ordini di consegna ai conducenti con auto private come lo fanno anche già diversi corrieri. Quindi, oltre alla prestazione del servizio, gli appaltatori di solito forniscono o portano con sé anche le risorse per svolgere il lavoro, come nel caso di chi consegna merci e lettere, il proprio veicolo (macchina, scooter o bicicletta) e il proprio cellulare, senza i quali non sarebbero neanche in grado fornire tale servizio.
Non è una novità, ricordiamo il bracciante (agricolo) che effettua qualsiasi tipo di lavori manuali (per cui non si richiede neanche conoscenze tecniche speciali) per un periodo determinato di tempo e retribuiti a giornata o a settimana, come la raccolta di frutta e cereali o per lavorazioni straordinarie da attuare in tempi ristretti. Erano molto diffusi nel 19. Secolo e nella prima metà del 20., quando esisteva ancora il latifondo e non erano diffuse le macchine agricole. Viene chiamato bracciante perché offre le proprie braccia per lavorare i terreni oppure altro.
Oggi, con la nuova tecnologia, più o meno succede la stessa cosa ma sostenuto dalla tecnologia e estesa a altri gruppi di lavoratori. E sebbene il lavoro a tempo determinato, quindi a “gig” oppure “click” esista da molto tempo, non è mai stato chiaramente definito o costantemente misurato all’interno delle statistiche ufficiali del mercato del lavoro. Le cifre sulla diffusione della gig economy variano molto. Un sondaggio del McKinsey Global Institute, ad esempio, parla del 20% della popolazione nell’età lavorativa negli Stati Uniti e in Europa, i quali si muovono fuori del sistema tradizionale (lavoro fisso a tempo indeterminato).
Di un “gig worker” si parla normalmente solo in caso che esista una piattaforma che intercede tra offerta e richiesta e non include i freelance come l’architetto, la traduttrice o il grafic designer i quali interagiscono di solito direttamente con la loro clientela più o meno fissa. Ma ci sono anche per loro delle piattaforme molto discusse, dato che le idee sono a libero accesso per tutti. Un designer serio normalmente non svende le propri idee in questo modo.
Secondo gli esperti, la quota dell’attuale gig economy che si basa su piattaforme online è minore di queste stime del sondaggio di cui sopra. E le piattaforme ribadiscono di offrire una bella possibilità per un’attività collaterale. Ma, per esempio, un Uber non può offrire un servizio capillare con solo i conducenti hobbistici; servono lavoratori autonomi “a tempo pieno” e questi, oggi, non sono ben assicurati e sono senza previdenza sociale.
Il crescente numero di mercati digitali come per esempio helpling (per gli addetti alle pulizie) potrebbe avere un impatto significativo sul mercato del lavoro perché le piattaforme possono riunire efficientemente un grande gruppo di lavoratori alla ricerca di occupazione con i datori dei lavoretti.
Si prevede che la forma di lavoro della gig economy abbia un potenziale di trasformazione determinante per i prossimi anni, in base alla crescente domanda da parte di questi servizi e organizzazioni. I sostenitori di tale sistema si aspettano benefici economici come l’aumento del lavoro in assoluto, lo stimolo del consumo e la creazione di nuove opportunità di lavoro. Si vedrà. Non c’è dubbio che il sistema favorisce anche l’atteggiamento “usa e getta” e diminuisce il legame tra mandante e mandatario.
Esiste la convinzione che la gig economy sostituirà in dieci anni la tradizionale giornata lavorativa tipica „Nine to Five“ (che tanto tipica non lo è neanche più oggigiorno). I critici temono una tal espansione produce un “esercito di lavoratori a giornata”, mentre i sostenitori della gig economy vedono un alto grado di flessibilità e autodeterminazione accanto al potenziale di nuovi modelli di business, ad esempio come attività secondaria.
Diciamo la verità, i liberi professionisti non devono temere questo sviluppo, perché da sempre lavorano sotto queste condizioni. Un freelance è ben preparato e abituato a portarsi avanti da un lavoro al altro, organizzare la quotidianità e cercarsi il prossimo incarico.
Certo che è più facile andare su una piattaforma, invece di cercare un partner direttamente. E’ questione di coinvolgimento e ti devi fare qualche domanda. Quando ti serve per esempio un servizio di grafic design o di copywriting, preferisci avere una qualsiasi soluzione e sapere che sulla prestazione guadagnano ancora altri (il portale) e alla fine per il lavoro stesso per te restano meno fondi e meno individualità? Oppure vuoi tutta la creatività esclusivamente per te e una soluzione veramente fatta su misura per mettere in evidenza la tua offerta?
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6 Comments
Un’ottima riflessione sulla “gig economy”… o sullo stato di precarietà permanente nel quale alcuni di noi lavorano e vivono da molti anni?! Comprende anche quello che in inglese ora si chiama spesso “contingent work” e “contract work” (e chi lo fa sono i “contingent workers/contractors”). In passato “piece work” (o cottimo).
Cara Anna, grazie per il tuo commento.
Questo “sviluppo” è veramente preoccupante, sopratutto quando tocca anche gli insegnanti nella scuole che in certi Laender della Germania, soprattutto in Baden-Württemberg, Bayern (Bavaria), Niedersachsen (Bassa Sassonia) e Hamburg (Amburgo) hanno solo contratti a tempo determinato da settembre a giugno ca. e nelle ferie sono disoccupati. A prescindere dal fatto che il periodo estivo serve agli insegnanti a prepararsi alla prossime lezioni (ora senza retribuzione), questo comporta anche che gli alunni non hanno più la continuità con lo stesso insegnante perchè non è detto che lo stesso insegnante ritorna allo stesso posto di prima. Tanto spreco anche in tempo perchè ogni nuovo anno scolastico si comincia da zero per quanto riguarda le relazioni base di fiducia.
Molto interessante, brava Katrin!
Grazie mille, Monica.
Per un libero professionista la condizione del lavoro “gig” è praticamente abituale. Inutile dire che questo comporta il continuo rischio di non vedersi riconosciuto il proprio onorario obbligandoti ad una opera continua di recupero crediti, la facilità a non vedersi riconosciuti i diritti elementari dei lavoratori (si pensi alla sicurezza per i lavori che prevedono rischi evidenti per la salute) la mancanza di continuità o viceversa la sovrapposizione degli impegni.
Vale la pena di ricordare come l’utilizzo dei braccianti a giornate o addirittura ad ore citata in precedenza, in periodi di scarso lavoro generava e genera ancora oggi la piaga del caporalato….
Insomma a parte la flessibilità degli impegni mi sembra che questa forma di lavoro sia l’unica possibilità in tempi di magra ma non certo la migliore.
Grazie mille, Romano per tuo contributo alla discussione.
Infatti, vedo anch’io il libero professionista preparato al meglio alla sfida perchè conosce bene le condizioni.